I “Racconti Del Balsamico” sono una serie di scritti dedicati all’Aceto Balsamico Tradizionale di Modena realizzati a partire da interviste a persone che a questo prezioso condimento hanno dedicato la vita, per lavoro o per passione.
Si ringraziano PierPaolo Bortolotti, esperto di Aceto Balsamico Tradizionale, Emilio Biancardi dell’Acetaia Villa Bianca e Massimo Clò del Collegio San Carlo di Modena, per la disponibilità e le preziose informazioni.
Dopo aver raccontato le Origini, il Processo Produttivo e l’Invecchiamento in questo quarto e ultimo episodio trattiamo il delicato tema della tutela, dalla creazione del Consorzio ABTM alla riconoscibilità commerciale del prodotto.
Come molti prodotti d’eccellenza, anche l’Aceto Balsamico Tradizionale di Modena subisce numerosi tentativi di contraffazione, ed è così che sugli scaffali dei supermercati, sia in Italia che all’estero, si trovano prodotti che hanno le sembianze dell’Aceto Balsamico Tradizionale, ma che in realtà, sia per origini che per modalità produttive, son ben lontani dall’esserlo.
Proprio per proteggere il prodotto originale dalle numerose imitazioni, verso la fine degli anni ’70 è nato il Consorzio del Balsamico Tradizionale di Modena, il cui primo obiettivo è diffondere la conoscenza del prodotto (anche e soprattutto all’estero) e tutelarlo, salvaguardandone le tradizionali modalità produttive.
All’inizio, infatti, i produttori erano solo una quindicina ma poi, nel decennio compreso tra gli anni ’80 agli anni ’90, l’ABTM fece un salto di riconoscimento e alcuni produttori, ingrandendo la propria produzione, cominciarono ad avere qualche centinaio di botti; non si poteva più quindi pensare di vendere il Balsamico Tradizionale in forma non controllata: si rese necessario attribuire un’omogeneità e un relativo riconoscimento al prodotto.
Venne quindi creato uno specifico disciplinare, secondo il quale l’Aceto Balsamico è classificato come condimento, prodotto di prima trasformazione al pari di un olio extravergine di oliva, al contrario degli aceti di vino, che sono derivati di un prodotto già lavorato.
Grazie al Consorzio fu istituita quindi una sorta di vigilanza in ogni fase della produzione, con ispettori che ne verificassero la fedeltà al disciplinare, fino al confezionamento e alla vendita: forse non tutti sanno che, infatti, il Balsamico Tradizionale è uno dei pochi prodotti che, prima di essere venduto, viene assaggiato per superare l’esame degli esperti degustatori.
Tutte le botti di ABTM sono numerate e quando un produttore deve imbottigliare il proprio aceto non può farlo in azienda, ma deve portarlo al Consorzio, dove viene fatto un controllo di acidità e densità e si fa un assaggio anonimo di tutta la quantità da imbottigliare. Se il prodotto viene ritenuto idoneo si può procedere all’imbottigliamento, che avviene sempre al Consorzio, dove viene anche conservato un piccolo campione per ogni lotto imbottigliato.
Tutto ciò accade oggi perché così è stabilito dal disciplinare, ma avveniva già prima che fosse obbligatorio, come mezzo per garantire una sorta terzietà al prodotto.
Infine, la confezione che, per disciplinare, è l’unica in cui può essere venduto solo il vero ABTM è una bottiglietta da 100 cc disegnata dal celebre designer Giorgetto Giugiaro, che ricorda un matraccio, l’ampolla utilizzata per l’assaggio del balsamico, con l’aggiunta di una base quadrata.
Per la commercializzazione dell’ABTM l’unica bottiglietta autorizzata è proprio questa e, in teoria, altri aceti non possono utilizzare bottigliette che ne richiamino la forma; questo è quindi un buon indicatore per capire a quale prodotto ci troviamo davanti quando stiamo per acquistare dell’Aceto Balsamico…anche se, dopo questo racconto lungo 4 blogpost, i nostri lettori saranno ormai diventati veri esperti in materia 🙂
Per chi volesse approfondire e scoprire dal vivo in prima persona tutti i segreti dell’Aceto Balsamico Tradizionale di Modena consigliamo comunque una visita ad una delle aziende consorziate, un’esperienza che sa davvero appagare tutti i sensi!
Autore
Elisa Mazzini
Web Content Manager per @inEmiliaRomagna e mamma a tempo pieno.
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RENZO
Complimenti per le trattazioni chiare e sintetiche, riguardo al balsamico, la trattazione riferita ai legni in uso quando si parla di “legno di rovere“ nessuno mai, forse troppo generalizzando da sempre il termine “rovere“, lascia intendere un legno di quercia qualsiasi, ma che di fatto forse anticamente utilizzava la “Farnia“, tipica quercia della nostra pianura un tempo comunissima in esemplari adulti e vetusti ora in estinzione e del caso taluni alberi o filari anche protetti. Il legno di “farnia“ un tempo sicuramente utilizzato per la sua fibra tenace, coriaceo, sovente nodosa, e duro da lavorare veniva utilizzata principalmente per travature nelle abitazioni nei casini signorili di campagna, mentre per i barili dell’ aceto balsamico, gli antichi bottai ora scomparsi, utilizzavano i rimanenti rami seppur a fatica nella lavorazione, per la compattezza della fibra di questa specie, certamente più’ durevole nel tempo agli agenti di degrado dovuti alla notevole durata di permanenza dell’aceto. La cosi’ detta “Rovere“ ovvero “Quercus petrea“, quella vera, non era presente in pianura e non formava boschi come la Farnia, ma più’ comunemente anche oggi assai frugale e reperibile piu’ occasionalmente in esigui lembi dalla collina al monte, con caratteristiche ben distinte anche nella fibra e qualità’ del legno. Certamente più’ malleabile della Farnia, ma sotto il profilo relativo al rilascio degli aromi o profumi dispersi dall’aceto nel tempo, si potrebbe aprire un fronte di studio ed approfondimento mai trattato in materia di aceto balsamico tradizionale.