Un racconto di Lelio Burgini ci porta a vivere storie e tradizioni natalizie di 120 anni fa.
La sera di Natale dell’anno 1891 nella sede di un circolo borghese di Cesena “si ergeva pomposamente” uno dei primi alberi natalizi visti in città.
Il cronista de “Il Cittadino”, giornale cesenate dell’epoca, ci informa che era il classico ramo d’abete che nei paesi nordici si allestiva la sera del 24 dicembre per la gioia dei bambini. Quello approntato nel circolo cesenate era carico di doni che furono estratti a sorte tra le famiglie dei soci. Quindi la sera stessa, l’albero spogliato venne rimosso e gettato in cortile per “dar posto ai soliti quattro salti”. A differenza del presepe, l’abete natalizio allora non apparteneva alla nostra cultura. Infatti nei giorni antecedenti il Natale, per tutta la città, anche se mancavano addobbi e luminarie, fervevano ugualmente i preparativi.
Le azdore toglievano dalle cassapanche coperte e tovaglie per le grandi occasioni e si dedicavano alle grandi pulizie della cucina, dei mobili e dei pavimenti. Coppie di capponi venivano portate in dono ai padroni dei poderi.
Droghieri e artigiani facevano gli “straordinari” in bottega: le persone agiate preparavano per le famiglie loro dipendenti sporte contenenti olio, farina bianca, cioccolata, marsala oppure elargivano mance. È ancora conservata l’interessante nota Mance ed elemosine del Natale 1905 compilata dagli eredi romagnoli in cui sono elencati i nomi dei beneficiati e gli importi elargiti.
In quei giorni rifioriva anche la solidarietà: si raccoglievano fondi per aiutare le famiglie indigenti. Nel 1891, durante il mese di novembre, si tenne una lotteria di beneficenza, tra i premi erano pure “una superba statuetta equestre di bronzo e due lampade pure di bronzo” dono della famiglia reale. Poi nella settimana di Natale, anche con il ricavato di questa lotteria, si tenne nel nostro teatro comunale A.Bonci “per cura del Comitato Cittadino la distribuzione di abiti ai bambini poveri”.
Nelle case di Cesena si svolgeva intimamente e sobriamente il rito della natività. La sera della vigilia tutta la famiglia era raccolta davanti al camino. Sul fuoco ardeva il ceppo, la cui cenere era ritenuta benedetta e dalle scintille che sprizzavano dal tronco si traevano auspici, superstizioni legate al solstizio d’inverno. La famiglia vegliava in conversazione mangiando castagne arrostite o ciambella e bevendo del buon vino. Era anche il momento per recitare un’orazione.
L’indomani il pranzo di Natale, si mangiavano i cappelletti preparati la sera prima, carne di cappone, e poi poco altro e magari un dolce. Panforti, panettoni, fichi d’india, capitone o anche il semplice mandarino inizialmente furono consumati solo da poche famiglie ricche della città.
Comune in tutta Italia la letterina natalizia posta sotto il piatto del capofamiglia: una letterina, la recita di una poesia, un buffetto ed una piccola mancia. Il regalo lo portava Gesù Bambino, perché Babbo Natale in Romagna, cento anni fa, non era ancora giunto.
Parlami di tER è una serie di racconti dall’Emilia-Romagna. Sono sguardi d’autore gettati sulla regione da persone che son natie, vivono o semplicemente si sono innamorate di questa singolare, bellissima, terra con l’anima.
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Lelio Burgini
Se è possibile prego correggere il mio cognome che è BURGINI lelio,non quindi BUGINI; inoltre l’elenco Romagnoli citato nel pezzo è del 1905 non del 2015 come scritto da voi nel testo. vi ringrazio
Celestina Paglia
Grazie Lelio per la segnalazione, provvediamo a correggere subito 😉