Parlami di tER è una serie di racconti dall’Emilia-Romagna. Sono sguardi d’autore gettati sulla regione da persone che son natie, vivono o semplicemente si sono innamorate di questa singolare, bellissima, terra con l’anima.
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Luglio 1424. I carri delle masserizie a stento avanzano nel fango, risultato di un’anomala e prolungata pioggia estiva. I cavalli e i soldati sono esausti e non sono più in grado di sostenere la marcia forzata. Carlo Malatesta, a capo dell’esercito fiorentino, teme che non riuscirà ad arrivare in tempo per spezzare l’assedio del CASTELLO DI ZAGONARA e soccorrere Alberico da Barbiano, loro alleato, che nel castello si era rifugiato. Probabilmente, avrebbero dovuto abbandonare prima l’assedio di Forlì. Forlì ora era libera e adesso rischiavano di perdere anche un prezioso alleato.
Più o meno questa è l’immagine che mi viene in mente leggendo il resoconto che ci ha lasciato Niccolò Macchiavelli della battaglia del castello di Zagonara; i Milanesi presero il castello dopo avere sconfitto i Fiorentini, giunti ormai stremati sul campo di battaglia. Dopo questa vittoria i Viscontei dilagarono in Romagna e il borgo fortificato venne distrutto.
Zagonara oggi è una piccola frazione della campagna lughese, in provincia di Ravenna, al confine con Cotignola. Campi coltivati a frutteto si alternano ai seminativi, ordinati secondo le linee regolari, tipiche della centuriazione antica. Si tratta di un territorio che porta su di sé le tracce di un passato medievale, quando, emergendo dalle acque e dai terreni incolti, si formarono i villaggi che poi furono all’origine dei capoluoghi comunali attuali.
Oggi non lo si direbbe, ma Zagonara al tempo della battaglia era invece un borgo fortificato popoloso, abitato da decine di famiglie, che ebbe un ruolo fondamentale nello scontro tra le forze milanesi viscontee e quelle fiorentine, nella fase in cui entrambe erano impegnate ad ampliare i territori controllati, fino ad arrivare a interessarsi di questa zona della Romagna. Da questa battaglia il castello e il suo villaggio non si ripresero più: torri e abitazioni vennero abbandonate, demolite e, nel giro di un secolo o due, rimpiazzate da campi coltivati.
Ho incominciato a conoscere questa frazione e i suoi abitanti a partire dal 2017. Da quell’anno, con l’aiuto dell’amministrazione del comune di Lugo e della Soprintendenza di Ravenna, abbiamo infatti avviato uno scavo archeologico di questo borgo fortificato abbandonato, le cui tracce ora giacciono sotto i campi coltivati. L’esperienza ha avuto in sé un ché di miracoloso. Pochi fondi all’inizio, qualche residente un po’ sospettoso nei nostri confronti, a cui ha risposto fin dal primo anno un entusiasmo diffuso per un genere di iniziativa, uno scavo archeologico di ricerca, che nel territorio lughese mancava da anni.
Il primo open day dello scavo portò più di 400 persone sul sito archeologico nell’arco di un paio d’ore. L’esperienza da allora è proseguita e maturata, e ciò che mi ha sempre colpito è stata l’ampia risposta del territorio e dell’associazionismo locale a questo genere di iniziative. Quel che si percepiva, e si percepisce tutt’ora, è il bisogno di questo tipo di esperienze e il desiderio di conoscere le tracce del proprio passato nel paesaggio che ci circonda; a questo bisogno abbiamo cercato di rispondere con costanza, nella convinzione che con ciò si può agevolare il progresso socio-culturale, la coesione di una comunità locale e la promozione economico-turistica di un territorio rurale.
Il patrimonio culturale è un diritto di tutti. Ormai si sta facendo largo in Europa l’idea che a questo diritto corrisponda un dovere dei componenti di una comunità, cioè quello di compartecipare ai processi di individuazione, valorizzazione e trasmissione di questo patrimonio, collaborando con gli specialisti del settore.
Questa compartecipazione è in grado di creare la vera condivisione del patrimonio, divenendo un fattore che ne garantisce la piena valorizzazione e trasmissione. Nata in modo spontaneo, quasi irrefrenabile, questa condivisione l’ho sperimentata in Bassa Romagna, nello scavo di Zagonara, e nell’entusiasmo delle persone che abbiamo conosciuto e che con noi hanno partecipato a questa esperienza.
Si tratta quindi un percorso inverso rispetto a quanto si è soliti fare in Italia, in cui ci si aspetta che sia lo Stato e gli enti territoriali a trattare tematiche quali i Beni Culturali o il patrimonio archeologico. Cambiare questa mentalità è la sfida; vincerla ci permetterebbe di trovare forme di valorizzazione adatte alla prodigiosa ricchezza e varietà paesaggistica della nostra penisola, che in territori e paesaggi come quello basso romagnolo avrebbero risorse ancora lontane dall’essere sfruttate appieno.
Autore
Marco Cavalazzi
Marco Cavalazzi è archeologo e assegnista di ricerca presso il Dipartimento di Storia Culture Civiltà dell’Università di Bologna. Dal 2009 coordina un progetto di indagine archeologica in Bassa Romagna (il progetto “Bassa Romandiola”) che mira a ricostruire l’evoluzione del paesaggio storico. Dal 2017 coordina lo scavo di Zagonara (Lugo, RA) e dal 2019 ha avviato progetti simili anche nel territorio cervese e faentino.
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