Savigno, località delle colline bolognesi ora sotto il comune di ValSamoggia (a circa 40km dal capoluogo di provincia) conta 2.700 abitanti, che in estate aumentano per via del turismo e dell’aria un poco più fresca, grazie all’altitudine di 259 s.l.m. e al polmone di vegetazione con arbusti bassi (ginepri e ginestre) e alberi quali querce, faggi e castagni.
La sua storia ha diverse fonti, ma soprattutto nel suo lontano passato Savigno, come i paesi limitrofi – Rodiano e Merlano – erano dotati di fortificazioni e castelli, in punti strategici, a difesa di un territorio pressoché ambito sia da Bologna che da Modena. Di questi bastioni oggi non resta nemmeno una pietra.
Nei libri di storia non è riportato il capitolo savignese di un passato di ideologia mazziniana. Il Moto insurrezionale, datato 15 agosto 1843, testimonia di alcuni patrioti affiliati alla Giovine Italia che si ribellarono al governo pontificio.
L’attività cospirativa dei patrioti che portò ai fatti del 1843 ebbe inizio diversi anni prima, nel 1837, in particolare per opera di Nicola Fabrizi, fondatore della Legione Italica, che doveva essere il “braccio armato” della Giovine Italia di Mazzini.
Fin dal 1838 il Fabrizi, scrivendo a Pasquale Muratori, lo individuava come “candidato ideale” a capeggiare un moto insurrezionale sull’Appennino bolognese.
Il 25 agosto l’inseguimento finì con la cattura dei ribelli. Muratori riuscì a fuggire oltrepassando il confine toscano e si rifugiò in Francia.
Il moto per la liberazione dal potere pontificio era fallito. Alla memoria dei patrioti uccisi, nella piazza XV Agosto, antistante la chiesa di San Matteo, è stato eretto un obelisco: “Ai Patrioti eroicamente combattenti in Savigno per la Libertà d’Italia”.
Poco lontano il campanile, in sassi e muratura, denominato Torre dell’Orologio di Savigno.
L’ingresso al paese si apre con un’edicola votiva in mattoni di recente costruzione con una croce alla sommità. Subito dietro una cinta muraria, un poco malmessa, quasi a sottolineare che lì c’è una proprietà privata e che è vietato entrare, ma appena superato l’angolo ecco due pilastrini, che probabilmente sorreggevano i cardini di un cancello, come è visibile all’Eremo di Tizzano.
Nelle nicchie le immagini sacre sono protette da una rete e da un lucchetto. Quasi a rappresentare un legame di protezione con quel caseggiato che, a forma di “L” rovesciata, testimonia una data estremamente remota di costruzione. Inoltre, i pilastrini hanno fiori di plastica a onorare le immagini sacre.
Questo casamento porta, sul lato ovest del cortile interno, un albero di certo non piantumato di recente, e a bordo della cinta muraria una sorta di aiuola delimitata dai sassi del fiume, oramai incolta e lasciata alla libera vegetazione. C’è un’apertura nel muro di recinzione, che è chiusa da un’improvvisata cancellata. Forse era un accesso secondario, verso le cantine.
Il caseggiato, a prima vista pare il più vecchio dell’area, e sono evidenti l’alternarsi del sassame e degli acciottolati di fiume. Infatti, poco distante corre il fiume Samoggia ed immagino le fatiche nel trasporto del materiale da costruzione.
Le imposte del caseggiato, nella parte del lato lungo della “L” hanno colori diversi, si scorgono chiaramente, nonostante le intemperie e il sole battente del pomeriggio abbiano contribuito allo sbiadimento.
Il cortile si presta ad una discesa. Il lato corto dell’edificio è rinnovato, molto semplice ma curatissimo.
Il lato lungo ha diverse porte, su cardini consumatissimi, il legno è quasi trasparente o mancante.
Sopra alla porta che presumibilmente poteva rappresentare un accesso ad abitazioni, esiste una volta in arenaria con due impronte: una a forma ovale dove probabilmente vi era una simbologia, il titulus, la scritta di carattere religioso INRI o IHS e sotto un’apertura nel muro che ben distingue un’opera di vandalismo ed espugnazione.
Resta la curiosità e l’immaginazione: cosa mai sarà stato rappresentato in quel loco?
Le ocarine alle finestre sono di differente forma e si accoppiano ai diversi colori delle imposte, sorge spontaneo pensare che la proprietà fosse multipla.
Chiedo notizie, qualche anziano conoscerà pure la storia di questo caseggiato.
Mi si riferisce che si chiamava Ca’ Don Carlo. Questo casermone ha visto la visita di Papa Giulio III.
Il caseggiato risale al 1525; era dotato di un castelletto che i tedeschi, nella seconda guerra mondiale, trasformarono in base contraerea. Non vi è targa o menzione di questo “fatto”, però grazie ad internet è possibile soddisfare la curiosità e le fonti storiche citano proprio la Casa detta di Don Carlo, all’epoca di proprietà Tonelli.
Sono inoltre citati i segni delle pallottole, presumibilmente sparate dai rivoltosi, rinvenute sui muri di questa casa, in seguito, dal Giudice Commissario Fontana.
Ogni seconda domenica del mese, il paese di Savigno si anima per via del mercato del vintage, dell’hobbistica, del tarlo, del vecchio e del nuovo.
La via centrale, contornata di piccole attività commerciali che ancora conservano il fascino dello spirito artigianale, sembra quasi tagliare il paese in due parti. E più lontano, ma in linea parallela, il Samoggia, affluente di sinistra del Reno, scorre, nascendo dalle Tavole del Roffeno, all’altezza di Santa Lucia in località di Castel D’Aiano.
Nel periodo estivo, il paese è animato dal flusso dei passanti in salita e in discesa. Nella coincidenza del mercato dell’hobbistica si eleva il vociare di chi sosta alla bancarella, del panificio che in lontananza delizia l’olfatto.
Le specialità gastronomiche locali sono gettonate: zuccherini montanari che ora hanno lasciato la tradizione e diventano anche segna-posti nei banchetti nuziali, crescente con ciccioli o prosciutto per i più affamati, torta di mele, alla ricotta e alla frutta: ce n’è per tutti i palati.
Il passo dei visitatori si mischia al canto delle cicale e alla musica che qualche espositore accenna imbracciando qualche strumento sul proprio banco di vendita.
Città dei sapori e del tartufo (ogni anno in autunno dedica 4 domeniche in occasione di Tartoflà), onora i suoi prodotti locali e le sue specialità.
Il mio cammino riprende, sulla Via della Libertà, abbellita e animata dai negozi con insegne d’epoca e dei mestieri fino al panificio e al laboratorio “I Mulini della Valle” con il monito: “Custodire per ricordare, conservare per conoscere”.
In questo paese di collina, le tradizioni e i mestieri mantengono il loro vero valore e tentano di coltivare il seme della memoria.
Un porticato, sul versante della Chiesa e dell’obelisco commemorativo, permette la congiunzione tra due vie: è un angolo di seduta per riprendere fiato o semplicemente per osservare i passanti.
Savigno, per la spettacolare posizione permette di scorgere a sud il Monte Cimone e a nord le città di Bologna e Modena e la pianura Padana.
Autore
Nadia Galli
Nadia Galli, nata a Castel Maggiore (BO), laureata all’Università di Bologna, in Economia e Commercio, in Sociologia e poi in OMAPSOS (Organizzazione, Mercati, Ambiente, Politiche Sociali e Servizio Sociale) con curriculum Politiche Sociali e del Benessere è Istruttore presso l’Unione di Comuni Reno Galliera. Giornalista pubblicista dal 2011 con la passione per la lettura e scrittura.
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