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Reggio Emilia è una città dell’Emilia Romagna ricca di arte, di storia e cultura. Patria del Tricolore e del buon cibo, nasconde in città e nel suo territorio alcune curiosità che in pochi conoscono.
La Spezieria dei Gesuiti
La storia del cioccolato si intreccia profondamente con quella di Novellara e dei suoi antichi protagonisti, la famiglia dei Gonzaga e la Compagnia di Gesù.
Si sa infatti che i Gesuiti speziali, chiamati a Novellara nel 1572 da Camillo I Gonzaga e dalla sua sposa Barbara Borromeo, furono fra i primissimi in Europa a preparare la dolce bevanda dai frutti della pianta di cacao, appena arrivata dalle lontane Americhe.
Nel Settecento la spezieria del convento dei Gesuiti di Novellara era chiamata “l’emporio della cioccolata” e lì si “produceva cioccolata di tutte le sorti”.
Anche alla corte dei Gonzaga e da parte degli ecclesiastici se ne faceva un ampio uso, sia per le proprietà corroboranti sia perché ne era consentito il consumo durante i periodi di digiuno.
La spezieria restò attiva fino al 1773, fatidica data nella quale l’ordine fu soppresso, ma è possibile ritrovare nell’archivio storico di Novellara le antiche ricette risalenti al Seicento.
I famosi vasi istoriati e le altre ceramiche della spezieria sono attualmente esposti nel Museo Gonzaga di Novellara, all’interno della Rocca e formano una delle collezioni più importanti e complete al mondo.
La vendita di Dresda
Nel corso del Seicento Reggio Emilia pagò un prezzo altissimo a causa dell’amore per l’arte dei duchi estensi.
La diretta conseguenza di alcune scorrette strategie politiche, diplomatiche e militari di Francesco III d’Este – che regnò dal 1737 al 1780 e passò alla storia come il duca illuminista di Modena – fu l’esilio.
Peccato che nell’arco dell’esilio si verificò anche un disastro. Con le finanze ducali già in gran parte depauperate dallo stile di vita di Carlotta Aglae d’Orléans – la capricciosissima e spendacciona consorte francese – nel 1746 il duca decise di vendere al re di Polonia Federico Augusto III 100 preziosissimi capolavori della quadreria di famiglia, che gli valsero un’ingente somma di denaro (100.000 zecchini d’oro).
Questo episodio, considerato come una delle più importanti vendite di opere dell’arte italiana del XVI e XVII secolo, nonché uno dei più significativi episodi del collezionismo europeo, è comunemente chiamato Vendita di Dresda.
Fu così anche le opere più prestigiose della Basilica di San Prospero come “L’Adorazione dei Pastori” del Correggio (meglio conosciuta come La Notte), la “Madonna di San Matteo” di Annibale Carracci e la” Madonna e tre Santi” di Guido Reni, dopo essere state vergognosamente asportate dagli originari altari, finirono prima nella collezione estense e più tardi presero la via di Dresda, capitale della Sassonia, per appianare i debiti dei duchi estensi.
Sugli altari della Basilica di San Prospero rimangono ora le copie fedeli del Boulanger e dello Stringa eseguite nel corso del XVII secolo.
Il Tibet dimora a Votigno di Canossa
Sulle verdi colline reggiane, nelle terre di Matilde a circa 2 km dal Castello di Canossa, si trova un piccolo borgo medievale chiamato Votigno di Canossa.
Qui il mondo sembra essersi fermato a tempi lontani dove, completamente immersi nella natura, tra silenzi quasi irreali, si respira una pace che pochi altri posti trasmettono.
Dagli anni Novanta infatti Votigno di Canossa ospita La Casa del Tibet, voluta dal medico reggiano Stefano Dallari e inaugurata dal Dalai Lama in persona.
Si tratta di una struttura unica in Italia, e addirittura la prima in Europa, dove i monaci e altri appassionati possono pregare, seguire convegni e immergersi anima e corpo nella cultura tibetana.
Una volta entrati a Votigno, tra case in mura di pietra e una piazzetta, si possono notare le statue del Buddha e altri simboli legati alla cultura e alla religione tibetana disseminati in tutto il borgo.
Nei weekend è possibile anche visitare il museo in cui sono custoditi costumi, fotografie e altri preziosi oggetti che possono aiutare meglio a comprendere la religione buddista e la vita in Tibet.
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CLAUDIO MONTANARI
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