Esistono luoghi che riescono a fondere realtà e fantasia, scienza e immaginazione, storia e natura
Nel cuore dell’Appennino Bolognese, nel comune di Castel d’Aiano, nella Valle del torrente Aneva, si conserva un prezioso gioiello della natura: Labante, la grotta primaria nei travertini più grande in Italia, e forse una delle più grandi al mondo.
Le grotte primarie sono cavità naturali che si generano contemporaneamente al materiale che le contiene; si tratta di grotte molto rare che difficilmente superano i 4-5 metri di lunghezza.
Le Grotte di Labante raggiungono addirittura i 51 metri con un dislivello di 12.
La loro origine e la particolare conformazione derivano dal corso d’acqua che proviene dalla sorgente di San Cristoforo, a 622 mt di altezza. Durante la stagione calda la sorgente ha una portata media di 11 litri al secondo ed è utilizzata come rifornimento idrico e potabile dai comuni limitrofi.
Fu scoperta alla fine del XIX secolo ed utilizzata dalla fine degli anni 80’ per alimentare l’acquedotto che fornisce i comuni di Vergato e Castel d’Aiano.
Il volume d’acqua eccedente delle vasche di decantazione alimenta il “salto” che da vita alla cascata di Labante che, scendendo su due speroni di roccia, forma un profilo in continua evoluzione creando lo splendido scenario della cascata di San Cristoforo.
Questa bellissima cascata e il suo laghetto, che giacciono al di sotto della Chiesa di San Cristoforo, nascondono altri gioielli di notevole interesse geologico: le pisoliti, o “le perle di Labante”.
Questa grotte sono state denominate anche “Grotte Viventi” e il suo travertino, qui chiamato “spunga”, fu usato dagli Etruschi per la necropoli di Misa a Marzabotto e negli anni ‘60 per ricostruire il Santuario di Brasa.
Le Grotte di Labante sono meta di speleologi provenienti da tutta Europa per le sue specificità uniche.
Le case-torri: i grattacieli di Rocca di Roffeno
Le case-torri furono antichi fortilizi trecenteschi che rimangono a testimonianza di un importante passato medievale.
L’area della Rocca di Roffeno fu abitata dall’Età del Ferro da popolazioni protovillanoviane; il territorio si presentava particolarmente favorevole a comunità composte da piccoli gruppi che sfruttavano le alture per poter creare dei sistemi di fortificazione.
La presenza del torrente Vergatello, affluente del fiume Reno, fu sicuramente un elemento di richiamo per le popolazioni del luogo in quanto questo elemento era centrale per il sostentamento delle comunità e per la loro prassi religiosa (l’acqua era un elemento sacro deputato alla purificazione).
Queste popolazioni conoscevano molto bene il territorio e sviluppavano i loro villaggi proteggendoli dalle inside metereologiche e climatiche: l’area boschiva si doveva sempre trovare a nord mentre dal lato opposto vi erano le rocce che servivano da protezione.
Le abitazioni erano prevalentemente circondate da alberi che servivano come protezione; vi era un solo vano che veniva condiviso con gli animali i quali, oltre al sostentamento, provvedevano a fornire calore agli abitanti.
Inizialmente le popolazioni locali decisero di occupare le caverne, che vennero sistemate ed ampliate per permettere condizioni di vita agevoli. Solamente dal 200 d.C. divenne comune la muratura in pietra.
Furono allora costruite case di pietra col tetto di paglia che però, frequentemente, subivano incendi rovinosi, per cui dal 300 d.C. si cominciò a costruire la copertura con lastre di arenaria, mentre a Bologna sorgevano le prime fornaci per realizzare i mattoni.
Il motivo principale per cui vennero edificate le case-torri è legato alle riedificazioni delle antiche dimore (capanne), presenti in quelle aree sin dalla metà del V secolo quando, grazie all’opera di artigiani provenienti dal comasco ed in cerca di nuove commesse di lavoro, esse vennero ammodernate tramite l’uso di materiali diversi e più solidi.
Con il tempo nuovi accorgimenti vennero creati per le torri: ad esempio porre coppi vetriati negli spigoli esterni per impedire l’accesso a piccoli roditori, abbellire la costruzione con simboli e decorazioni che avevano soprattutto uno scopo di protezione e di prosperità.
Le case-torri erano caratterizzate da ornamenti geometrici e i colori più frequenti erano il giallo ocra, il rosso e il nero.
Questi colori erano particolarmente comuni in epoca tardoromana ed erano già osservabili nell’architettura paleocristiana, anche se li ritroviamo pure nel Neolitico in ambito rupestre, in quanto come spesso accade, queste tradizioni si tramandano nel tempo.
L’ocra fu uno dei primissimi colori utilizzati nella storia, dal potere magico di guarigione e propiziatorio, il rosso richiamava il sangue e quindi la vita, mentre il nero le tenebre e quindi la parte della giornata più temibile.
Le più note case-torri sono quelle cinquecentesche: il Poggiolo, la Civetta e il Monzone (quest’ultima, probabilmente, sorgeva nei pressi dell’antico e scomparso Castello di Roffeno).
In queste terre soggiornò per varie estati a metà degli anni ‘30 il pittore Giorgio Morandi, dipingendo varie opere che traggono ispirazione dal paesaggio circostante.
Si tratta di edifici imponenti e decisamente caratteristici delle zone appenniniche di confine: la posizione soprelevata infatti è collegata alla necessità di difesa del territorio offrendo al pittore vedute panoramiche.
Oltre alle case-torri questa zona offre anche altre testimonianze storiche come la Chiesa di San Martino, dove sono custoditi il più antico tabernacolo ligneo dell’arcidiocesi di Bologna e vari importanti affreschi del periodo romanico, e la Pieve di Roffeno, dove si trova un antico fonte battesimale di foggia longobarda.
Parlami di tER è una serie di racconti dall’Emilia-Romagna. Sono sguardi d’autore gettati sulla regione da persone che son natie, vivono o semplicemente si sono innamorate di questa singolare, bellissima, terra con l’anima.
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Autore
Stella Ferrari
Escursionismo, trekking , arrampicata, mountain bike… sono appassionata di tutto ciò che mi permette di stare all’aria aperta e di scoprire sempre posti nuovi e unici di cui il nostro territorio è ricco.
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