Non possiamo affermarlo con certezza ma è scontato immaginare che, durante il suo “ultimo soggiorno” a Ravenna, Dante Alighieri ebbe modo di visitare le splendide basiliche della città, oggi Patrimonio Unesco, e ammirarne i loro inestimabili tesori artistici.
A Ravenna era già stato in passato, presumibilmente nel 1303 e nel 1310. Aveva attraversato la pineta di Classe – “in su ‘lito di Chiassi” come ci ricorda nel canto XXVIII del Purgatorio descrivendola come “la divina foresta spessa e viva” – e si era confrontato con la vita sociale della piccola località adriatica.
Nel 1318 quindi non fu molto complicato per Guido da Polenta, padrone della città, sedurre il Sommo Poeta e indurlo a scegliere l’antica capitale bizantina come sua ultima oasi di pace e tranquillità, dopo il lungo peregrinare lontano da Firenze.
Qui avrebbe avuto modo di riunire la propria famiglia ma anche di concludere la stesura della sua “amata” Commedia.
Ravenna a quel tempo doveva apparire completamente diversa rispetto a quella che oggi conosciamo. Gli splendori dell’Impero romano e bizantino erano ormai un ricordo lontano e il suo paesaggio – povero, malsano e circondato da paludi e canali – non era per nulla ospitale.
In questo rarefatto scenario, apparivano fonte di luce e meraviglia i mosaici delle antiche chiese bizantine, testimoni preziosi e altissimi dal punto di vista artistico e iconologico.
Le loro tessere e gli accostamenti policromi rappresentavano un repertorio di immagini evocative e simboliche che era impossibile non rimanerne suggestionati, soprattutto per gli uomini di allora così poveri di parola e bellezza.
A maggior ragione quindi anche per un personaggio così illustre come Dante – a quanto pare esperto d’arte – che era alla ricerca di ispirazioni per raccontare il suo Paradiso e concretizzarlo visivamente dentro di sé stesso.
Le basiliche e i battisteri dell’antica capitale bizantina custodivano ottimi repertori iconografici e cromatici da cui attingere: lo avrebbero sicuramente aiutato a costruire quel senso di immateriale misticismo figurato con cui ammantare il proprio Paradiso.
Da una parte quindi la Commedia, dall’altra i Mosaici Bizantini: un binomio tanto fascinoso e curioso che, nel corso del Novecento, ha spinto diversi critici danteschi a ripercorrere le ultime due Cantiche della Commedia alla ricerca di terzine e immagini legate in qualche modo ai decori musivi di Ravenna.
I cortei della basilica di Sant’Apollinare Nuovo
Genti vid’io allor, come a lor duci,
venire appresso, vestite di bianco;
e tal candor di qua già mai non fuci
(Purgatorio XXIX, vv. 64 – 66)
Sotto così bel ciel com’io diviso,
ventiquattro seniori, a due a due,
coronati venien di fiordaliso.
Tutti cantavan: “Benedicta tue
ne le figlie d’Adamo, e benedette
sieno in etterno le bellezze tue!
(Purgatorio XXIX, vv. 82 – 87)
Luci, colori, sfondi dorati e presenze ieratiche lentamente avanzano in una lunga processione che porta Dante verso la cima del Purgatorio e che nel Paradiso culminerà con l’apparizione della sua amata Beatrice.
Basta uno sguardo e vengono alla mente le teorie delle vergini e dei martiri che si dispiegano nei mosaici della bellissima navata principale della Basilica di Sant’Apollinare Nuovo.
La croce della basilica di Sant’Apollinare in Classe
Come distinta da minori e maggi
lumi biancheggia tra ’ poli del mondo
Galassia sì, che fa dubbiar ben saggi;
sì costellati facean nel profondo
Marte quei raggi il venerabil segno
che fan giunture di quadranti in tondo.
Qui vince la memoria mia lo ’ngegno;
ché quella croce lampeggiava Cristo (…)
(Paradiso XIV, vv. 97 – 104)
Se c’è un tratto di Commedia che più di altri ricorda i mosaici di Ravenna, quello sicuramente è il canto XIV del Paradiso.
Leggendo le terzine del Sommo Poeta ci ritroviamo all’istante catapultati nel quinto cielo, quello di Marte, avvolti da una luce rosseggiante.
Qui tutti gli Spiriti che hanno combattuto in nome della Fede si incrociano formando una croce greca, scintillando con maggiore o minore intensità, a seconda del loro grado di beatitudine. Al centro il volto di Cristo.
Il ricordo del mosaico dell’abside di Sant’Apollinare in Classe non può che balzare agli occhi: un grande disco gemmato decorato da un cielo trafitto di stelle dorate e d’argento e una croce gemmata al centro con il viso di Cristo.
San Lorenzo e il mausoleo di Galla Placidia
Se fosse lor volere intero,
come tenne Lorenzo in su la grada
(Paradiso IV, vv. 82 – 83)
Siamo in Paradiso, nel cielo della Luna, Beatrice parla con Dante e indica come esempio di fortezza d’animo l’eroe della storia romana Muzio Scevola e quello della cristianità San Lorenzo.
I versi usati ci riportano all’immagine del martire rappresentato nella lunetta del Mausoleo di Galla Placidia, ancora oggi ben visibile a chi entra all’interno del monumento.
Possiamo allora ipotizzare che il Sommo Poeta, di stanza a Ravenna, fosse stato influenzato in tal senso proprio dalla visione di questo mosaico, inducendolo a riportarlo come esempio di fortezza d’animo.
L’imperatore Giustiniano nella basilica di San Vitale
Cesare fui e son Giustiniano
che, per voler del primo amor ch’i’ sento,
d’entro le leggi trassi il troppo e ‘l vano
(Paradiso VI, vv. 10 – 12)
Secondo quella simmetria che contraddistingue le altre cantiche della Commedia, anche il VI canto del Paradiso affronta questioni prettamente politiche. Qui il Sommo Poeta si imbatte nell’Imperatore bizantino Giustiniano.
Un incontro che sicuramente Dante aveva già avuto ma da un’altra parte. Impossibile infatti non pensare che durante il suo soggiorno a Ravenna, non avesse levato i suoi occhi più volte al ritratto musivo dell’imperatore presente nella Basilica di San Vitale.
La Vergine Madre nella basilica di Sant’Apollinare Nuovo
Vergine Madre, figlia del tuo figlio,
umile e alta più che creatura,
termine fisso d’etterno consiglio (…)
(Paradiso XXXIII, vv. 1 – 21)
La Grande Vergine Madre seduta in trono alla fine del corteo delle Vergini della basilica di Sant’Apollinare Nuovo. A questa immagine è probabile si sia ispirato Dante nel comporre l’orazione che San Bernardo rivolge alla Madonna all’inizio dell’ultimo canto del Paradiso.
Una visione forte, in cui si esalta la maternità divina di Maria e che forse attinge anche a un epigramma in mosaico e latino che si trovava sotto la splendida immagine della Madonna in Trono con Bambino nell’abside della basilica di Santa Maria Maggiore, oggi andato distrutto.
Molti altri sono i frammenti delle ultime due cantiche della Commedia che gli studiosi (da Corrado Ricci fino alla storica dell’Arte Medievale Laura Pasquini) hanno collegato direttamente ai mosaici di Ravenna.
Si tratta di un universo di simboli e colori che, per questioni di spazio non abbiamo indicato, ma che confermano come i monumenti dell’ex capitale bizantina abbiano svolto un ruolo per nulla marginale nel processo ispirazionale del Sommo Poeta.
Autore
Davide Marino
Nasce come archeologo ma finisce per fare altro. Razionale ma non metodico, lento e appassionato. Un giovane entusiasta dai capelli grigi
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Andrea Bernabini
Bravo Davide, bell’articolo.